L’ingrediente migliore di un vino è l’onestà di chi lo produce.
Da “La montagna di fuoco” di Salvo Foti
Il Nerello Cappuccio o Mantellato, (Mantiddatu niuru o Niureddu Ammatiddatu), vitigno autoctono della zona etnea, deve il suo nome al singolare portamento (cappuccio, mantello) della pianta coltivata ad alberello. È stato da sempre presente nelle vigne etnee e in altre province siciliane. Negli ultimi decenni ha registrato un continuo abbandono da parte dei viticoltori, tanto da rischiare l’estinzione.
Questo vitigno entra nella costituzione, insieme al Nerello Mascalese, del vino Etna Rosso a D.O.C, in misura inferiore del 20% e, insieme al Nocera, al Nerello Mascalese e ad altri vitigni minori, nella produzione del Faro a D.O.C.
Vinificato in purezza dà vini pronti, da medio invecchiamento. Come il Nerello Mascalese viene raccolto molto tardi, verso la metà del mese di ottobre.
Un rosato che rosato non è: fresco e affilato come un bianco, e insieme ampio e rassicurante, come un buon rosso etneo.
Un rosso come gli uomini della Muntagna: brusco, arcigno, spigoloso, graffiante.
Dentro una bottiglia, il racconto di un paesaggio e un popolo unici.
Il fuoco del vulcano e la mineralità dei suoi terreni in un’interpretazione perfetta dei vitigni rossi etnei.
Da monumentali vigne sul lato nord dell’Etna: un vino naturale vivo e vibrante, complesso ed elegante.
Un Etna Rosso vulcanico e minerale, senza compromessi. Di grande invecchiamento.